Viaggio nei suoni dell’India. All’ascolto del paesaggio sonoro indiano: Il mercato di Chandni Chowk a Delhi

Questo è il secondo post sui suoni dell’India. Se suscita un qualche tuo interesse ti invito a leggere il primo dove ho posto le premesse di questo mini progetto

Prima tappa: Delhi

Il mercato di Chandni Chowk a Delhi si snoda come un dedalo affascinante, un labirinto pulsante di storia e cultura, dove la sinfonia dei suoni caotici, lo scintillio dei colori vivaci, l’intensità degli aromi, e il flusso incessante di persone si fondono in un’esperienza coinvolgente che cattura un’essenza dello spirito indiano.

In questo mercato, con una lunghissima storia (nasce nel XVII secolo, quando fu pianificato e costruito dall’imperatore moghul Shah Jahan, lo stesso sovrano che commissionò il Taj Mahal ) il paesaggio sonoro potrebbe essere descritto come caoticamente al limite della sopportabilità. Tuttavia, il tumulto sonoro del mercato di Chandni Chowk non rappresenta meramente un rumore indistinto, bensì una sinfonia intricata che incarna una qualità intrinseca dell’India, un paese dove i confini tra ciò che è piacevole e ciò che è sgradevole risultano attenuati, quando non completamente inesistenti

Qui, il fragore incessante dei clacson non è solo un rumore di sottofondo, ma un linguaggio, un modo di esprimersi e di navigare nello spazio condiviso. In India, ancora oggi, i camion sfoggiano orgogliosamente le scritte “Please Horn” o “Blow Horn”, quasi fosse un comando imperativo, una tradizione che risuona attraverso le strade affollate. Questi suoni, che in altri contesti potrebbero essere percepiti unicamente come invasivi o irritanti, a Chandni Chowk diventano parte integrante di un tessuto sonoro che accoglie e esalta la diversità, la complessità e, soprattutto, la coesistenza.

L’India incarna la straordinaria capacità di promuovere e mantenere la compresenza degli opposti in tutte le sue manifestazioni, tessendo un ricco mosaico dove contrasti e armonie convivono in un equilibrio dinamico costantemente rinnovato. Basti pensare al plurarismo e sincretismo religioso nonché, in ambito induista, alle figure di Shiva, noto come il distruttore ma anche come il rigeneratore o di Ardhanarishvara, forma composita di Shiva e della sua consorte Parvati, che rappresenta l’unità di maschile e femminile.

I clacson quindi ma anche le voci dei passanti e dei venditori ambulanti, i suoni metallici e degli altri materiali degli artigiani al lavoro; è tutto un brucilare di sonorità al confine con il rumore, un incessante onda sonica che opprime e che, come per tutti gli opposti vissuti in India, per certi versi ti libera.

Fotografia di Roberta Bottari

L’audio è qui sotto:

Viaggio nei suoni dell’India. All’ascolto del paesaggio sonoro indiano

Questo post è il primo di una serie creati per accompagnare il lettore curioso in un viaggio uditivo attraverso l’incredibile diversità sonora di questo paese straordinario.

L’India è un luogo dove ogni suono racconta una storia, ogni nota rimanda a una tradizione o a una innovazione, e ogni silenzio cela un mistero.

Una importante premessa: quando un viaggiatore esplora i luoghi, tende a immortalare frammenti di ciò che percepisce usando fondamentalmente il canale visivo. Centinaia, migliaia di foto scattate con il cellulare o con macchine fotografiche.

I suoni, elementi fondamentali nel determinare il paesaggio e l’identità dei luoghi, generalmente non diventano il focus dell’attenzione del turista o del viaggiatore ma rimangono sullo sfondo, come ombre che danzano sul muro al tramonto, presenti ma spesso trascurati.

Da anni ho scelto di dare più importanza alla memoria dei suoni rispetto alle immagini; quando gli altri scattano foto su foto, io estraggo il mio registratore audio (o il cellulare quando non ho con me il mitico zoom recorder H6) e registro i suoni.

Scatto pochissime foto, utili solo a ricordare il luogo nel quale questi suoni sono stati ascoltati e catturati.

Quante volte mi sono trovato a registrare situazioni sonore interessanti, dove l’aspetto visivo non era quello principale (ad esempio, devoti che cantano mantra o suonano strumenti) e intorno a me tutti scattavano foto (e qualcuno video) ed ero l’unico a registrare i suoni. Segno dei tempi: io la chiamo, con leggera ironia, la dittatura del visivo. Potrei anche dire: l’ascolto, il senso dimenticato.

Per me, suonatore e insegnante di gong e di suonoterapia, prestare orecchio alle voci del mondo anziché limitarmi a osservarlo è una necessità fondamentale, un requisito essenziale, un approccio ineludibile.

Per un sound healer, ascoltare va oltre la percezione uditiva, diventando un modo per connettersi con l’essenza di un luogo attraverso le sue vibrazioni. In un mondo focalizzato sull’immagine e sulla frenesia delle fotografie, registrare i suoni diventa un atto di ribellione contro il superficiale, invitando a un’immersione totale nell’esperienza presente. Tale pratica permette di catturare non solo le melodie esplicite, ma anche i sottili sussurri e gli echi lontani che definiscono l’unicità di un ambiente.

Ecco così un breve resoconto di un viaggio in India, tra Delhi, Varanasi e Goa, una piccola fetta dello sterminato universo indiano ma già carico di sonorità vibranti, evocative e profondamente radicate, che tessono una trama sonora tanto variegata quanto l’essenza stessa del paese.

Foto di Roberta Bottari, straordinaria compagna d’avventure ed esplorazioni soniche e non solo